Un villaggio nella pianura. Ricerche archeologiche in un insediamento medievale del territorio di Sant’Agata Bolognese

Ci son voluti vent’anni per dare alle stampe il volume “Un villaggio nella pianura. Ricerche archeologiche in un insediamento medievale del territorio di Sant’Agata Bolognese”, curato da Sauro Gelichi, Mauro Librenti e Marco Marchesini.

La pubblicazione è presentata al pubblico il 6 aprile alle ore 16 nella Sala del Consiglio Comunale di Porta Otesia a Sant’Agata Bolognese alla presenza dei curatori e di Daniela Occhiali, Sindaco di Sant’Agata Bolognese, ClaudioBroglia, Senatore della Repubblica, Paola Marani, Consigliera regionale dell’Emilia-Romagna, Marco Edoardo Minoja, Soprintendente per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna, Filippo Brandolini, Presidente Herambiente S.p.A., e Silvia Marvelli, Direttore del Museo Archeologico Ambientale.

Ma perché questo volume è così importante? Perché illustra il sito altomedievale più vasto e meglio indagato dell’Italia settentrionale, un unicum, per dirla con gli archeologi, tanto più eccezionale quanto più completa e abbondante è la qualità, quantità, stato di conservazione e varietà tipologica dei materiali archeologici, archeobotanici e archeofaunistici rinvenuti. 
Di come fossero le campagne in questo periodo, dell’organizzazione del loro habitat, dello sfruttamento delle loro risorse sappiamo ancora poco, certo molto meno di quanto possono dire altre regioni d’Europa dove l’archeologia rurale ricopre da anni ben altro ruolo. Quello di Sant’Agata Bolognese è l’unico scavo che abbia indagato, forse in modo non esaustivo ma certo esteso, un villaggio dei secoli centrali del Medioevo nella pianura padana.
Il volume tocca molti temi, dall’edilizia abitativa alla struttura dell’insediamento, dall’economia ai caratteri della vita quotidiana, e di fatto fornisce lo spaccato di una comunità e (indirettamente) dei suoi signori, delle loro strategie e dei loro modi di rapportarsi con le risorse, in quei secoli del Medioevo (X-XI secolo) che furono davvero centrali per le società dell’Occidente Europeo.
Le innovative metodologie di scavo applicate hanno permesso di capire l’importanza e la complessità cronologica dell’insediamento, mettendo in luce i suoi forti legami con il territorio circostante, come confermano le fonti scritte in cui si evidenziano gli assetti insediativi, politici, patrimoniali e sociali dell’area dove il villaggio era ubicato. Gli studi condotti sui materiali (ceramica, pietra ollare, oggetti in metallo, macine, fusaiole, vetri, ecc.) hanno evidenziato un elevato tenore di vita e una fitta rete commerciale sia a livello regionale che nazionale. Le analisi ambientali hanno fornito la fotografia di un territorio fortemente “vissuto”, con un’agricoltura sviluppata e abbondante utilizzo del legno come materia prima indispensabile per la vita del villaggio.
L’opera si chiude con la risposta alla domanda che più di ogni altra ha tormentato chi si è occupato di questo scavo: come si chiamava questo insediamento? Perché dargli un nome, cioè identificare un luogo tra le carte d’archivio (sempre poche!) che ci sono rimaste, significa anche riuscire in qualche modo a relazionarlo con qualcuno (da una parte) e in fondo capire come fosse percepito dai contemporanei (abbiamo scavato un villaggio, un castello, un porto? o meglio un sito che veniva qualificato così?)

Questa pubblicazione è il coronamento del rilevante impegno di vari enti, i Comuni di Sant’Agata Bolognese e San Giovanni in Persiceto, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e l’Università degli Studi di Pisa, che hanno effettuato gli scavi, studiato il sito, recuperato, classificato e musealizzato i reperti, e diffuse le conoscenze acquisite con mostre, pubblicazioni e conferenze. Tra gli enti che hanno contribuito alla scoperta dell’insediamento medievale e alla sua valorizzazione va ricordata la Nuova Geovis S.p.A., oggi controllata del Gruppo Hera, proprietaria di alcuni impianti per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti nel comune di Sant’Agata Bolognese: il sito è venuto in luce proprio durante i lavori per l’ampliamento della discarica intercomunale e la società ha messo a disposizione il terreno, finanziato gli scavi e posticipato la realizzazione della discarica.

Il volume è il numero 33 della collana Quaderni di Archeologia dell’Emilia-Romagna promossa dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.

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